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La terra nelle vene


“Poiché il racconto del Tamburino t’ha scosso il cuore ti doveva esser facile, questa mattina, far bene il componimento d’esame: — Perché amate l’Italia. Perché amo l’Italia? Non ti si son presentate subito cento risposte? Io amo l’Italia perché mia madre è italiana, perché il sangue che mi scorre nelle vene è italiano perché è italiana la terra dove son sepolti i morti che mia madre piange e che mio padre venera, perché la città dove son nato, la lingua che parlo, i libri che m’educano, perché mio fratello, mia sorella, i miei compagni, e il grande popolo in mezzo a cui vivo, e la bella natura che mi circonda, e tutto ciò che vedo, che amo, che studio, che ammiro, è italiano. Oh tu non puoi ancora sentirlo intero quest’affetto! Lo sentirai quando sarai un uomo, quando ritornando da un viaggio lungo, dopo una lunga assenza, e affacciandoti una mattina al parapetto del bastimento, vedrai all’orizzonte le grandi montagne azzurre del tuo paese; lo sentirai allora nell’onda impetuosa di tenerezza che t’empirà gli occhi di lagrime e ti strapperà un grido dal cuore. Lo sentirai in qualche grande città lontana, nell’impulso dell’anima che ti spingerà fra la folla sconosciuta verso un operaio sconosciuto dal quale avrai inteso passandogli accanto, una parola della tua lingua. Lo sentirai nello sdegno doloroso e superbo che ti getterà il sangue alla fronte, quando udrai ingiuriare il tuo paese dalla bocca d’uno straniero. Lo sentirai più violento e più altero il giorno in cui la minaccia d’un popolo nemico solleverà una tempesta di fuoco sulla tua patria, e vedrai fremere armi d’ogni parte, i giovani accorrere a legioni, i padri baciare i figli, dicendo: — Coraggio! — e le madri dire addio ai giovinetti, gridando: — Vincete! — Lo sentirai come una gioia divina se avrai la fortuna di veder rientrare nella tua città i reggimenti diradati, stanchi, cenciosi, terribili, con lo splendore della vittoria negli occhi e le bandiere lacerate dalle palle, seguiti da un convoglio sterminato di valorosi che leveranno in alto le teste bendate e i moncherini, in mezzo a una folla pazza che li coprirà di fiori, di benedizioni e di baci. Tu comprenderai allora l’amor di patria, sentirai la patria allora, Enrico. Ella è una così grande e sacra cosa, che se un giorno io vedessi te tornar salvo da una battaglia combattuta per essa, salvo te, che sei la carne e l’anima mia, e sapessi che hai conservato la vita perché ti sei nascosto alla morte, io tuo padre, che t’accolgo con un grido di gioia quando torni dalla scuola, io t’accoglierei con un singhiozzo d’angoscia, e non potrei amarti mai più, e morirei con quel pugnale nel cuore.”

Edmondo De Amicis - Cuore (1889)


Amor patriae nostra lex verrebbe da dire, cioè: l’amore della patria sia la nostra legge. Ed oggi più che mai questo concetto ci porta ad estremizzare il ruolo stesso della patria e quello di libertà. Ormai le ragioni che ispirarono De Amicis non sono più valide né condivise dalla quasi totalità degli italiani, così come da buona parte dei popoli che si definiscono civilizzati.

Ma è ancora necessario il sentimento di patria?

Dopo tutto, in questo mondo che globalizza, dove non si compete più a nazioni ma a squadre, che posto ha la patria? Forse sarebbe più sensato circoscrivere il significato a ciò che per noi, in quanto individui, viene tramandato e trasmesso dalla famiglia, dal luogo in cui nasciamo, cresciamo e viviamo. Magari sarebbe auspicabile lasciarsi andare a patriottismi localizzati e specifici per ogni posto favorevole al nostro sviluppo e positivo al benessere personale o a quello comune.

Perché in fondo dove nasce questo attaccamento alla terra se non alla stessa terra natia?

Gioco di parole apparentemente inutile, ma decisamente utile per comprendere un dato di fatto pressoché universale:

noi amiamo le nostre radici perché da lì nasciamo, da lì impariamo, da lì guardiamo il mondo e spesso lì moriamo.


Domanda:

Qual è quella cosa che portiamo sempre con noi, che non lasciamo mai, che non ci abbandona mai e che ci segue costantemente ed in ogni parte del mondo?

Alcuni potrebbero rispondere immediatamente che si tratta del telefono, altri il proprio documento d’identità, qualcuno il bancomat e per i più colti forse potrebbe essere l’intelletto.

In realtà non è nessuna di queste cose, in realtà l’unica cosa che non ci abbandona mai sono le nostre origini.

Le nostre origini non ci lasciano mai, esattamente come i geni ereditari che compongono il nostro corpo. E’ la terra che scorre nelle vene, fa parte di ogni singolo carattere, definisce le personalità, siamo noi. Ecco, questo è l’elemento che potremmo e forse dovremmo definire “patria”.

Ognuno di noi è una patria unica ed inimitabile.

Ognuno di noi è una patria libera di legiferare coscientemente e di regolarsi autonomamente. Ognuno di noi è una patria confinante con le altre e rispettosa del territorio sul quale trova modo d’esistere. Ma qual è quel territorio che dà modo d’esistere a tutte queste patrie? La terra. Sempre quella stessa terra che scorre nelle vene di tutti. Perciò la conclusione più logica e probabilmente la conclusione più ovvia è questa:

La terra è la nostra patria.

La terra che calpestiamo, la terra che respiriamo e la terra che mangiamo.

Perciò, porca puttana, usiamola bene. Per favore.


Viste e considerate le quasi banalità che avete potuto riscontrare in questo scritto, per coerenza intellettuale ora vi meritate un bell’aforisma incoerente con quanto appena detto:


“In fondo ad ogni patriottismo c'è la guerra: ecco perché io non sono un patriota.”

Jules Renard - Scrittore e aforista francese (1864 - 1910)


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